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Soldati privati, eserciti e difesa

“Ogni volta che sentiamo parlare di security contractors, immaginiamo personaggi con il cappellino da baseball e il fucile d’assalto, in giro a far danni in qualche provincia occupata. In realtà le cose sono un po’ più complesse”. Così  Stefano Ruzza ha presentato al Circolo dei lettori il tema dei Contractors, i soldati privati che oggi affiancano l’esercito regolare nella gestione delle zone di conflitto. A parlare prima di lui è stato il colonnello Antonio Fantastico: un’ introduzione necessaria, in quanto è difficile comprendere come agiscono i soldati privati se si ignora come è cambiata l’attività dell’esercito. Che negli ultimi anni, specie per quanto riguarda le missioni di pace, si è avvicinata sempre più alla funzione civile: in Afghanistan, ad esempio, i soldati italiani stanno lavorando allo sviluppo del sistema di istruzione, della sanità, del sistema idrogeologico.

Questo nuovo paradigma è il cosiddetto Comprehensive approach: il lavoro in sinergia di forze militari, civili e governo locale. “ L’obiettivo – ha chiarito Fantastico – è sempre lo sviluppo della popolazione locale.  Gli  insurgents e i signori della guerra agiranno sempre in senso contrario, cercando cioè di cooptarla con la predicazione o con la minaccia: la popolazione quindi, costituisce l’elemento decisivo per la conclusione rapida e positiva di un conflitto”. I contractors rappresentano l’altro lato di questo approccio: tanto maggiore è la funzione civile assunta dall’esercito, tanto più crescono le mansioni militari appaltate a soggetti con lo status di civili.  Mansioni che aumentano proporzionalmente al fatturato di queste ditte: la ex Blackwater, ad esempio, passò – tra il 2001 e il 2006 – da 774.000 dollari a 593 milioni  annui. La Caci, nonostante il coinvolgimento nello scandalo del carcere di Abu Graib , supera oggi i 3 miliardi di fatturato annuo.

È chiaro, a questo punto, che non si parla di semplici mercenari. “Va chiarito subito – ha precisato Ruzza – che con il termine contractor non si intende il singolo soldato, ma l’intera struttura aziendale nella quale opera. Ed è una distinzione fondamentale per comprendere l’espandersi di queste organizzazioni”.

La fisionomia aziendale, infatti, determina il successo dei contractors: rimuove lo stigma del mercenariato e al contempo permette loro di agire come persone giuridiche anziché fisiche, con la conseguente flessibilità in tema di responsabilità.  “Vale da dire – ha continuato Ruzza – che se la mia ditta è accusata di qualcosa, le cambio nome e ricomincio daccapo”.

Resta da capire perché l’esercito americano oggi richieda una presenza  sempre maggiore dei soldati ‘privati. “Nei conflitti di oggi – ha spiegato Fabio Armao, moderatore dell’incontro – i confini tra guerra e pace sono diventati molto più indefiniti, con una conseguente dilatazione dei tempi di occupazione”. Coinvolgere i contractors permette allora all’esercito e al governo di reggere meglio la pressione dell’opinione pubblica. “La mobilitazione militare percepita – ha precisato Stefano Ruzza – è molto minore: ovvero, ci sono molte meno bare di militari che rientrano in patria. È per questo che ormai il rapporto tra operatori privati e militari in Afghanistan è di 1 a 1.”

I contractors, inoltre, permettono all’esercito di aggirare i limiti di budget: spesso il pagamento di queste ditte si trova sotto voci di spesa differenti da quelle destinate alla forza bellica. Se necessario, infine, il loro utilizzo  permette a un  governo di negare il coinvolgimento diretto in un conflitto armato. Fu il caso, ad esempio, della Guerra di indipendenza croata, in cui  ditte di contractors vennero pagate dal Governo croato con gli aiuti in danaro appositamente inviati dagli Stati Uniti.

 

Antonio Storto – master in giornalismo di Torino

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