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Maddalena Collo

Ornaghi descrive la latitanza delle elite

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Che cos’è un’elite? Dal latino eleggere, sono le persone scelte. I componenti del gruppo concepiscono il mondo nella maniera più possibile comune, hanno un buon criterio di valutazione e di cooptazione dei membri. Che cosa non è un’elite? La classe politica italiana. A sostenerlo, nell’incontro a Palazzo Madama, il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Lorenzo Ornaghi.

“Una volta esisteva il governo dei pochi sui molti e quei pochi erano i migliori, appunto l’elite”, spiega il rettore. E continua: “Dalla seconda metà dell’ ’800, invece, il partito di massa ha messo in crisi l’elite e quelle che si sono venute a formare sono delle oligarchie che pensano soltanto ai proprio interessi, lontano da essere quella che una volta era definita l’eccellenza nella società”.

E l’Italia? “In Italia le elite – nell’antica accezione del termine – non esistono”, sostiene Ornaghi. “La storia italiana ha visto lo sviluppo separato di classe politica e classe economico-sociale che si sono sempre ‘usate’ a vicenda senza portare avanti un interesse collettivo”. Secondo il rettore della Cattolica, quello che manca è anche visione a lungo termine del futuro. “Il presente purtroppo oggi mangia il futuro”. Le soluzioni? Due parole: formazione ma soprattutto selezione.

a cura di Carlotta Addante, Master in Giornalismo Torino

Il federalismo secondo le giurie di cittadini

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Si fa spesso riferimento al tema del federalismo, nel nostro Paese. Più di quanto effettivamente lo si conosca. L’incontro di stamattina al Teatro Carignano – coordinato da Luigi Bobbio –   è stata un’occasione di confronto e scambio di opinioni, tra cittadini e esperti in materia.

La prima parte del dibattito è stata incentrata sulla presentazione dei risultati di un esperimento di democrazia partecipativa: nei mesi scorsi quattro giurie di cittadini ( due a Torino, una a Firenze e una a Lamezia Terme) hanno discusso per due giorni di federalismo, aiutati da moderatori e esperti. L’obiettivo di queste “discussioni informate” era quello di far emergere le considerazioni, le aspettative e le proposte relative al processo di decentramento fiscale e “funzionale” che in Italia, tra tante polemiche, è ormai iniziato. E sono stati alcuni rappresentanti delle giurie di cittadini a raccontare, dal palco del Carignano, le conclusioni alle quali sono giunti attraverso i dibattiti.

Un punto fermo, riconosciuto praticamente da tutte le giurie, è risultato quello della salvaguardia “totale” dei diritti e dei servizi essenziali (sanità, istruzione), senza barriere territoriali, oltre a quello dell’importanza di una più completa diffusione di informazioni sulle questioni più specifiche e tecniche relative al federalismo. Ma non sono mancate le divergenze: la giuria di Firenze, composta da studenti dei licei e universitari,  ha espresso un giudizio sostanzialmente negativo sul federalismo, soprattutto quello fiscale; i 12 cittadini di Lamezia Terme, invece, lo considerano un’occasione “di cambiamento positivo, di responsabilizzazione delle amministrazioni locali, un’opportunità per uno scatto di orgoglio”. Diverse le proposte specifiche presentate. Tra queste, quella presentata da uno dei gruppi torinesi, relativa alla necessità di trasmettere le competenze dei funzionari del centro-nord a quelli del sud, per ridurre il divario tra le due parti del Paese.

A seguire, ci sono stati gli interventi degli “addetti ai lavori”: Domenico Fisichella e Luca Ricolfi. Il primo ha esposto la sua visione fortemente pessimistica nei confronti del federalismo. L’ex senatore ha descritto il cambiamento che si prospetta per l’Italia come una “disarticolazione istituzionale, che sta nascendo con la logica dei privilegi per alcuni e delle discriminazioni per altri”. Secondo Fisichella la voglia di federalismo “che non diminuirà il potere delle oligarchie”, è il frutto di un salto logico, che va dal “giusto riconoscimento dei problemi legati al centralismo e agli eccessi burocratici, alla necessità  sbandierata di fare il federalismo”. E la sua critica ribalta uno dei punti cruciali della riforma, il prelievo fiscale affidato agli Enti locali: “L’eccesso di vicinanza dell’autorità non fa altro che determinare maggiori compiacenze, clientelismi”. Poi, sulla Costituzione: “Meno la tocchiamo e meglio è” Luca Ricolfi, invece,  si è definito un federalista.

Ma ha precisato: “Questo federalismo, per come è stato impostato, non può funzionare”. L’editorialista de “La Stampa” ha spiegato che l’idea di partenza del federalismo, nato per ottimizzare il prelievo fiscale e per ridurre gli sprechi della spesa pubblica, era valida. In sostanza, però,  “gli effetti della riforma cominceremo a vederli nel 2019, forse. Ma, anche ammettendo che funzioni – e non sarà così – sarà troppo tardi.”

In chiusura, l’intervento di Gustavo Zagrebelsky, presidente di Biennale Democrazia. Il costituzionalista ha fatto riferimento all’irragionevolezza del progetto federalista nostrano, “quello delle divisioni, dell’ ‘ognuno a casa propria’. Non è possibile percorrere questa strada nel terzo millennio”. Ed ha sottolineato l’importanza, per il prossimo futuro dell’Italia, dell’atteggiamento fiducioso mostrato dai giovani delle giurie di cittadini. Delle loro speranze, rivolte a un cambiamento positivo.

Ermanno Forte, Master in Giornalismo Torino

La libertà di amare nelle società democratiche

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Si possono definire realmente democratiche società dove non è possibile esprimere a pieno la propria affettività? Questa la domanda che ha rappresentato il filo conduttore dell’incontro al Teatro Gobetti dal titolo “Liberi di amare. Omosessualità e transgenderismo nella società multiculturale”. Voci del dibattito Gianni Vattimo, Vladimir Luxuria e Franco Buffoni.

L'intervento di Vladimir Luxuria al Teatro GobettiLe rivendicazioni di diritti della gay community sono spesso appelli di tipo culturale. Sono l’espressione di un desiderio di democrazia: poter vivere a pieno la propria vita senza discriminazioni. Vladimir Luxuria, politica e attivista dei diritti Lgbt (Lesbian, gay, bisexual and transgender) spiega: “libertà di amare non significa solamente potersi innamorare di qualcuno, ma anche poter esternare questo amore. Fino alla libertà di sentirsi uguali agli altri, di poter fare progetti, di essere riconosciuti dallo stato”.

Secondo Vattimo, filosofo e politico torinese, le questioni intorno ai Lgbt sono frutto di decenni di repressione, i cui responsabili sono le tradizioni culturali locali e la Chiesa. Bisogna capire fino a che punto i rapporti con la comunità di appartenenza condizionano le persone. Un omosessuale può “infischiarsene di ciò che si pensa di lui, ma allo stesso tempo soffre perché appartiene ad un gruppo in cui non si riconosce”. La soluzione spesso è la fuga. Scappare da una “società legalmente repressiva, ma giuridicamente intollerabile”. Dalle città di provincia verso le metropoli, dall’Italia verso Paesi più tolleranti. “È un fatto democratico – continua Vattimo – non avere il diritto di organizzarsi una vita affettiva secondo ciò che detta il proprio cuore? Dov’è finito il diritto alla felicità?”.

La gay community sta vivendo una battaglia culturale, contro gli stereotipi e i preconcetti radicati nella nostra società. È una lotta che inizia nell’ambito famigliare. “La barzelletta meglio essere neri che gay, almeno non devi dirlo alla mamma è ancora valida” – conclude il filosofo.

Secondo Buffoni internet può rappresentare una chiave di svolta per educare i giovani alla cultura della diversità. E per aggiornare una legislazione antiquata, non al passo con i tempi.

Luxuria conclude con una nota sentimentale. Per ora, non essendoci una legge che riconosca le coppie di fatto, c’è solo un positivo per le coppie gay: esse vivono un sentimento intenso, un amore romantico, avversato. Quell’amore descritto da Shakespeare in Romeo e Giulietta e da Manzoni nei Promessi Sposi.

Francesca Dalmasso, Master in Giornalismo di Torino

I think tank: il fenomeno dei serbatoi di pensiero

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Si possono definire realmente democratiche società dove non è possibile esprimere a pieno la propria affettività? Questa la domanda che ha rappresentato il filo conduttore dell’incontro al Teatro Gobetti dal titolo “Liberi di amare. Omosessualità e transgenderismo nella società multiculturale”. Voci del dibattito Gianni Vattimo, Vladimir Luxuria e Franco Buffoni.

La risposta di Alessandro Campi, ex direttore scientifico di Fare Futuro e docente di Storia delle Dottrine Politiche, non si lascia attendere: ”Come abbiamo fallito sul bipolarismo abbiamo fallito anche con i think tank”. Secondo Campi, molte fondazioni italiane sono correnti occulte e rimandano ad un personaggio politico con il rischio che molte finiscano con la sua carriera.

A sfatare il mito delle associazioni legate a doppio filo con la politica ci prova però Andrea Gavosto, economista e direttore della Fondazione Agnelli, che da 50 anni si occupa di ricerca su temi sociali, soprattutto la scuola. Anche Davide Mattiello, presidente della neonata fondazione Benvenuti in Italia, spiega come il suo think tank sia un’altra cosa ancora. “Noi nasciamo come advocacy group la cui missione è quella di agire nello spazio pubblico per determinare gli esiti politici ed elettorali. Per questo facciamo anche campagna politica, per spostare il consenso”.

Irene Tinagli, membro del consiglio direttivo di Fare Futuro e docente alla Carlos III di Madrid, chiude l’incontro con una sfida: “Le fondazioni nascono perché è veramente difficile cambiare i partiti da dentro. Fare Futuro nasce proprio per far luce sui temi rimasti al margine del dibattito politico. La sfida è far si che le nostre riflessioni vengano ascoltate e si trasformino in politiche”. Insomma, c’è un assoluto bisogno di passare alle fase due dei think tank.

Carlotta Addante, Master in Giornalismo Torino

Ciak, si cambia: in scena le lotte africane per i diritti

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La domanda più importante

Dolore, coraggio e speranza. Sono queste le emozioni che si provano vedendo i tre cotrtometraggi africani della rassegna ″Why democracy?″ (perché democrazia?), andati in scena al cinema Massimo ieri sera. Un intenso momento di riflessione sulle lotte per i diritti politici dell’Africa contemporanea.

 La prima pellicola è “Coming of age” (l’arrivo dell’età), un cortometraggio della kenyota Judy Kibinge, che racconta la storia travagliata del suo paese. Il punto di vista è quello di una ragazza che cresce con la sua Nazione. Si rivive la gioia dell’indipendenza del Kenya, ottenuta nel 1964 con il presidente Jomo Kenyatta; lo smarrimento e il dolore seguiti alla dittatura del successore, Daniel arap Moi, finita nel 2002; infine la speranza e la gioia legati alla nuova presidenza di Mwai Kibaki, anche se i dubbi sulla piena realizzazione dei principi democratici restano aperti.

Il secondo cortometraggio s’intitola “Don’t shoot” (non colpire), una pellicola di Lucilla Blakenderg.  Ė una lunga intervista al presentatore più famoso della tv del Sudafrica, l’afrikaaner (discendente dei coloni belgi e olandesi) Riaan Cruywagen. L’anchorman racconta il passaggio dall’apartheid, la segregazione tra bianchi e neri, alla democrazia aperta a tutti, iniziata negli anni Novanta. Un cambiamento che non gli ha impedito di restare alla guida del più popolare telegiornale, e di mantenere la fama di ″faccia della notizia″. Un cammino vissuto apparentemente con distacco, ma che gli ha permesso di accettare come suoi concittadini e colleghi persone che fino a pochi anni prima non godevano dei diritti politici e civili.

L’ultima pellicola, ″We are watching you″ (ti stiamo guardando) è la più emozionante, perché girata nel 2007 si rivela profetica sulla forza di un popolo nella conquista dei diritti. Al centro della pellicola egiziana, diretta da Jehane Noujam e Sherief Elkatsha, c’é la lotta per la democrazia nell’Egitto di Mubarak, guidata dal movimento Shayffen a partire dal 2005. Si tratta di un gruppo di donne che partecipa alle prime elezioni multipartitiche dell’Egitto, e si rende conto che esse sono pilotate dal presidente con brogli ed abusi. Da lì inizia una battaglia legale che passa attraverso una denuncia all’ordine dei magistrati. Due di loro, Mekki e Bastawissi, si interessano della vicenda; perseguiti dalla polizia, trovano l’appoggio della popolazione e del movimento Shayffen, e lo Stato rinuncia a colpirli. Da quel momento in poi le donne del movimento conducono una campagna continua di informazione sull’Egitto e per l’Egitto, che trova l’attenzione dello stesso presidente americano. Il film si chiude con la speranza di un Egitto migliore. Il resto è la storia attuale del nordafrica, dove una serie di dittatori che si credevano onnipotenti, è stata cacciata dai loro popoli. Un segno di speranza per il futuro della democrazia nel pianeta.     

a cura di Francesco Riccardini, Master in giornalismo di Torino

“La cultura politica conservatrice” secondo Galli della Loggia

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“Come si può essere conservatori dopo una rivoluzione?”. Ernesto Galli della Loggia poggia tutto il proprio intervento alla Biennale Democrazia su questa domanda retorica. La rivoluzione in questione è naturalmente quella dei moti risorgimentali che hanno portato al concepimento nel 1861 dell’Italia Unita. Da Palazzo Madama l’opinionista del ‘Corriere della Sera’ segna così i punti fondamentali che hanno determinato l’assenza di una cultura conservatrice nel nostro Paese.

“Uno dei grandi mali della vicenda storica italiana è rappresentato dalla cronica assenza di una destra liberale, capace di dar vita ad un progetto ad ampio raggio – sostiene Galli della Loggia ”. Un vuoto che non è stato mai più colmato ma che ha semmai prodotto, insieme ad una generale “ambiguità realizzativa dello Stato italiano”, una pervadente politicizzazione della società con relativo discredito delle istituzioni nate sotto l’auspicio unitario.

“Le istituzioni dello Stato italiano non avevano nulla di autoctono. Lo Statuto era stato ricalcato da quello belga, l’Amministrazione era stata ripresa dalla Francia, il sistema universitario dalla Germania. Quindi non ci si è potuti rifare a nessun materiale storico”.

Dunque lo Stato italiano nasce all’insegna di una forte politicità, propria di un concepimento rivoluzionario. La Destra storica d’altro canto, ha bisogno sin da subito di imporre metodi che “possono essere definiti (appunto) rivoluzionari” per portare a compimento il processo di costruzione del Paese. Una nazione che oltretutto fin dai suoi primi respiri segna un intreccio a volte pericoloso tra destra e sinistra. Un conflitto che solo in due occasioni traccia dei punti di incontro (durante l’interventismo della Prima Guerra Mondiale e la Resistenza nel Secondo conflitto bellico).

Nel ‘900 infine, il tentativo di cancellare la frattura popolo-Stato e la decisa volontà di condurre l’Italia sulla via della modernità, non sono riusciti a incerottare la ferita risorgimentale. “Il Risorgimento è riuscito a formare lo Stato, ma non le istituzioni. La politica ha così assunto il ruolo supremo ma essendo separata proprio dalle istituzioni diviene costantemente terreno di caccia da parte di chi incomincia ad avere interessi privati e particolari – conclude Galli della Loggia –“.

 Riccardo Di Grigoli, Master in giornalismo Torino

Videopolitica sotto accusa. In sua difesa Giovanni Floris

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Ci ha provato Edoardo Novelli, docente di Comunicazione politica all’Università Roma 3, a mettere alle strette Giovanni Floris ma la televisione, grande imputata dell’incontro, è stata assolta da ogni accusa grazie ad un difensore d’eccezione come il conduttore di Ballarò. La tesi di Novelli, da cui ha preso il via il dibattito in un Teatro Carignano gremito, è la mutazione del linguaggio politico a seconda del mezzo di comunicazione usato. Le accuse mosse alla televisione – narrate da una voce femminile fuori campo – erano essenzialmente quattro: l’assassinio del discorso politico, la trasformazione del leader, la spettacolarizzazione della politica e la sua marginalizzazione a favore del mezzo televisivo.

In due ore di dibattito, accompagnato da video testimonianze, Giovanni Floris ha cercato di far passare un messaggio molto preciso: la televisione è soltanto un mezzo, i colpevoli sono le persone che la fanno. “Si tende a confondere i difetti della tv con quelli della società. L’impoverimento culturale arriva proprio da quest’ultima, la televisione lo raccoglie e basta”. Il problema del nostro paese, secondo il conduttore, è anche quello della scarsità di offerta televisiva, perché ci sono pochi editori. “Se ci fossero mille editori, avremmo mille trasmissioni ovvero mille visioni del mondo”.

A proposito di spettacolarizzazione della politica nei talk show, Floris sottolinea che “non tutte le risse ti fanno guadagnare ascolti. Rimani in piedi se hai qualcosa da dire e in questo Ballarò ha vinto perché corrisponde alle esigenze del paese”. E il politico che si adatta al mezzo televisivo? “E’ giusto, anche la televisione ha le sue regole. E in televisione hai successo se buchi lo schermo, se sai comunicare. Anche se sei grasso e pelato”.

Carlotta Addante, Master in Giornalismo Torino

“Architettura e democrazia”. La lectio magistralis di Rem Koolhaas

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La riflessione sulla forma urbis come espressione di un sistema democratico è al centro dell’incontro al Teatro Carignano. Tutto esaurito per la lezione di Rem Koolhaas, architetto riconosciuto come uno dei più importanti architetti al mondo.

Manfredo di Robilant, architetto e docente torinese, introducendo il maestro  l’ha  definito “un personaggio che fin dagli esordi ha rotto i confini dell’architettura come disciplina autonoma”. Un intellettuale, oltre che un professionista, “onnivoro”, da anni in primo piano nel dibattito architettonico e urbanistico internazionale. Una personalità che ha trasformato il ruolo dell’architetto, non più soltanto un “demiurgo che progetta aree urbane”, ma il cui ruolo si interseca con altre professionalità.

“Interdisciplinarità” è la parola d’ordine per affrontare le sfide del futuro, che non significa una riduzione di responsabilità nei confronti della comunità e della committenza, bensì espandere il ruolo dell’architettura stessa. “Koolhaas ha sempre giocato con parole, immagini, edifici e ha prodotto nuovi significati come risultato di questa contaminazione” – afferma di Robilant.

New York, città edificata sulla base delle regole di mercato, e Singapore, completamente ricostruita tra gli anni Sessanta e Settanta, secondo il principio della quantità – non già della qualità – nel lavoro di progettazione. Due esempi che mostrano come il programma degli edifici sia il risultato della sommatoria di istanze politiche ed economiche.

Koolhaas, attraverso la proiezione di diapositive, mostra la storia di una disciplina che sta modificando i suoi paradigmi di esistenza. Partendo da “Utopia”, l’opera di Thomas More pubblicata nel 1516, fino ad arrivare ai giorni nostri. Un mondo dominato dall’economia di mercato, che rende le nostre democrazie dei sistemi autoritari dominati dalle rigide regole del denaro.

Francesca Dalmasso,  Master in Giornalismo di Torino

Parola e idee degli outsider nell’Italia degli anni 2000

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Chi sono gli outsider nell’Italia dei primi decenni del 2000? I giovani, che hanno rappresentato in passato un’icona vincente e ora sono in crisi d’identità, stanchi, sfiduciati? O le donne, che nel XX secolo si sono battute per la parità di diritti e hanno scoperto che quando si sale sul palco è dura strappare i ruoli principali? O i migranti, che pur presenti in grande numero nel nostro Paese sono poco rappresentati e solo parzialmente integrati? In ogni caso energie potenzialmente nuove che il nostro sistema socio-produttivo tende a penalizzare anziché valorizzare, ritrovandosi di giorno in giorno più stanco e afflitto.

Ma lo sport ci insegna che l’outsider è quell’atleta che riesce ad affermarsi pur avendo inizialmente scarse probabilità di successo e che, escluso dal numero dei favoriti di una gara, ne risulta a sorpresa il vincitore o uno dei maggiori protagonisti… Con Michel Martone, Angela Padrone e Irene Tinagli, NewTO lancia un richiamo agli outsider italiani, che possono costituire il vero motore della ripresa nel nostro Paese. Per loro, è giunto il momento di conquistare un ruolo nell’Italia che cambia.

NewTo è un’associazione libera e apartitica che opera a Torino, uno spazio di confronto e interazione volto alla valorizzazione della creatività e del talento. Promuove la meritocrazia e le pari opportunità, l’interesse dei giovani alla cosa pubblica e analizza quali sono oggi in Italia i luoghi e i meccanismi di rinnovamento e di ricerca delle nuove élites in politica, nell’impresa e nella pubblica amministrazione.

Ecco “la cultura davanti al potere”

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Quattro professori universitari parlano di potere, politica e diritto, e riescono a coinvolgere e interessare un pubblico numeroso, in larga parte composto da giovani. E’ quanto è accaduto alla Cavallerizza Reale, nell’ambito dell’incontro-dialogo “La cultura davanti al potere. Estremisti, moderati ed eretici”.

Nella prima parte dell’evento, sottotitolata con l’espressione “I modi e i luoghi del potere”, Francesco Tuccari – professore di storia delle dottrine politiche all’università di Torino – ha spiegato il pensiero di Robert Michels, autore tedesco del primo novecento e uno dei principali teorici del ruolo predominante delle oligarchie nei sistemi politici del secolo scorso. Tuccari ha presentato l’evoluzione delle teorie di Michels che, passando per la tesi della irrealizzabilità dei principi democratici e della sostanziale incompetenza delle masse relativamente alle decisioni pubbliche, è giunto a condividere il sistema politico fascista di Mussolini.  A seguire Simona Forti, che insegna all’Università del Piemonte Orientale, ha analizzato la concezione del potere elaborata da Michel Focault, il padre della microfisica del potere e della biopolitica. “L’autore francese ci ha insegnato a dislocare il potere, a cercarlo nell’intera gamma delle relazione umane. E ci ha insegnato a considerarlo come un’energia creatrice, non solo repressiva. Un’energia che crea delle specifiche verità” .

La seconda parte dell’incontro, condensata nell’espressione “l’eccezione e la regola”, ha visto Alessandro Campi – docente dell’università di Perugia e ideologo della fondazione “Farefuturo” – e Mario Dogliani – che insegna Diritto Costituzionale a Torino – analizzare il senso dell’opera di Carl Schmitt e Hans Kelsen. Il primo, l’eccezione, è un autore diventato di culto negli anni ’70, un intellettuale- giurista che per anni ha aderito al regime nazista. Il secondo, la regola, “noto ai più come arido teorico del diritto” – secondo Dogliani -, incentra la propria teoria su “un intento demistificatorio nei confronti dello Stato”. Per Kelsen gli ordinamenti politici sono impuri; il diritto è solo una tecnica, di per sé neutra, necessaria per portare una sorta di pace nel quadro di un “tragico e ineliminabile conflitto”. Ma la tecnica giuridica  va riempita e indirizzata politicamente. “Kelsen cerca di offrire delle soluzioni realistiche” – spiega Dogliani – “Considerando che nella sua analisi la vera democrazia è solo quella nella quale tutti decidono tutto all’unanimità, e poiché ciò è irrealizzabile, le varianti concrete che vengono attuate sono, per lui, degli accomodamenti necessari.

Ermanno Forte, Master in Giornalismo di Torino

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Cosa e' Biennale Democrazia?
Biennale Democrazia è un laboratorio pubblico permanente, radicato nel territorio e rivolto alle grandi dimensioni della politica odierna, aperto al dialogo, capace di coinvolgere i giovani delle scuole e delle università e destinato a tutti i cittadini. Il progetto si articola in una serie di momenti preparatori e di tappe intermedie - laboratori per le scuole, iniziative destinate ai giovani, workshop di discussione, proposte specifiche - che culminano, ogni due anni, in cinque giorni di appuntamenti pubblici: lezioni, dibattiti, letture, forum internazionali, seminari di approfondimento e momenti diversi di coinvolgimento attivo della cittadinanza.
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  • Biennale Democrazia 2009
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Hessel ai giovani: reagite per costruire insieme un futuro di libertà e giustizia

  Sono le parole di Stephane Hessel ad aprire l’assemblea di chiusura del Campus di Biennale Democrazia: “Non basta indignarsi, bisogna cercare insieme di costruire libertà e giustizia. L’impegno dei singoli non è sufficiente. Bisogna unirsi per chiedere giustizia. L’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia è un momento stupendo per ritrovarsi. Democrazia, in greco, vuol […]

Il rapporto finale della discussione informata sul federalismo

è possibile scaricare il documento con i risultati della discussione informata di Biennale Democrazia svoltasi da dicembre 2010 ad aprile 2011, a Torino e nelle città partner del progetto, Firenze e Lamezia Terme.   Scarica il documento

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