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I nuovi poteri criminali nel racconto di Armao

I nuovi poteri criminali. Ovvero come le mafie evolvono nel tempo, come cambiano gli assetti di potere tra i vari gruppi e al loro interno. “In italia siamo abituati ad analizzare il fenomeno mafioso guardando all’aspetto territoriale, ma questo fa perdere la visione globale, importante per spiegare un fatto: i gruppi criminali stanno avendo un successo clamoroso in tutto il mondo” Così Fabio Armao – docente di relazioni internazionali e preside della facoltà di Scienze politiche a Torino – ha introdotto un pubblico numeroso e composto soprattutto da giovanissimi in un excursus sulle nuove strategie criminali, dalla caduta del Muro di Berlino a oggi.

“Il 1989 – ha chiarito Armao – è stato uno spartiacque nella storia della criminalità. Nel dopoguerra , erano pochissimi i gruppi criminali operanti in tutto il mondo: dopo la fine del bipolarismo, alla corsa allo sviluppo economico si è accompagnata una moltiplicazione dei poteri criminali. Oggi è difficile trovare un paese che non abbia problemi di criminalità organizzata”. Ciò si spiega con la capacità che le mafie hanno di movimentare un numero enorme di merci e denaro: così facendo finiscono per svolgere un ruolo non trascurabile nello sviluppo economico di un territorio.

L’emergere dei nuovi gruppi criminali ha quindi determinato un riassetto nella gerarchia globale delle mafie: basta pensare all’importanza assunta dalla Eme (la mafia messicana) rispetto ai Narcos colombiani; o  al potere criminale della Ndrangheta, che supera ormai quello della mafia siciliana. “Ciò accade – ha precisato Armao – perché negli ultimi anni Cosa Nostra si è reintegrata così tanto nel tessuto statale da assumere le caratteristiche della mafia politica: non traffica più in droga, quindi, ma è tornata agli appalti, alla sanità, ai lavori pubblici”.

Ma, nonostante la rapida evoluzione, le organizzazioni criminali continuano a presentare delle costanti. “La struttura di partenza – ha precisato Armao – rimane ancora oggi la stessa: il clan. Si inizia sempre dal controllo totalitario di una porzione – anche minima – di territorio, che viene saccheggiato, ad esempio con il pizzo, e costituisce un vivaio per il reclutamento di nuovi soldati, sorvegliati fin da piccoli”.

Il passo successivo è la colonizzazione:  una volta arricchitesi con l’estrazione delle risorse territoriali, le mafie si spostano. Non è un caso che la criminalità organizzata segua le rotte delle migrazioni: i mafiosi italiani si spostavano in America come oggi la mafia nigeriana opera in Italia. “Questo spiega perché i migranti vengano spesso identificati con la criminalità: ma in realtà l’immigrato è la prima vittima della mafia.” Questo percorso dal locale al globale fa sì che le mafie “abbiano imparato a coniugare le due dimensioni molto meglio dei vari stati”.

Ma alle strategie economiche su scala globale si accompagna il riemergere di pratiche arcaiche: “i nuovi gruppi criminali – secondo il Professore – stanno riportando in occidente i riti iniziatici, considerati ormai estinti nella nostra società. Allo stesso modo in cui in Cosa nostra si  pungeva l’indice dei nuovi affiliati, oggi anche le nuove gang prevedono una prova d’ingresso, spesso molto violenta:  come se, prima di poter infliggere dolore, l’aspirante dovesse dimostrare di poterlo sopportare”.

La creazione di una cultura criminale, del resto, è ciò che permette alle organizzazioni di esercitare un fascino sempre maggiore sugli adolescenti. “Prendiamo i tatuaggi delle gang latine, considerate a torto un fenomeno folkloristico. Si tratta in realtà di un vero e proprio linguaggio, con cui si rivendica l’appartenenza alla gang e il disprezzo  verso i gruppi rivali”.

Un altro linguaggio che denota l’intelligenza delle organizzazioni è quello musicale: “oggi in Messico – conclude Armao – esiste un mercato enorme, con produzioni di dischi e video, per i cosiddetti Narco-Corridos, che nelle loro canzoni esaltano le gesta dei trafficanti. È interessante notare come i terroristi islamici, per conquistare il consenso dei giovani, compiano un’operazione simile: reinterpretano canti tradizionali del mondo arabo in chiave jihadista. A questo proposito, con alcuni colleghi stiamo progettando un seminario sulla musica come strumento di induzione alla violenza”.

Antonio Storto, Master in giornalismo di Torino

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  • Biennale Democrazia 2009
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