La telepolitica secondo Novelli e Roncarolo
La politica e il suo doppio. Vale a dire la sua rappresentazione televisiva: storia di due linguaggi che si sono compenetrati fino a fondersi, annullandosi a vicenda. E diventando un’unica, indistinguibile materia. Edoardo Novelli e Franca Roncarolo tracciano, per il pubblico del Circolo dei lettori, la storia della contaminazione tra linguaggio politico e televisivo.
Sono quattro le fasi essenziali attraverso le quali si consuma questa fusione . Nella fase pre-televisiva, la politica non passa attraverso il video: per la propaganda, il partito di massa si serve della sua enorme capacità di mobilitazione della base. È l’epoca dei volantini, dei manifesti elettorali e dei comizi. Il linguaggio della politica è ancora fondato sul richiamo all’appartenenza, alla condivisione di un’ideologia.
Nel 1960, con la trasmissione delle prime Tribune politiche, si entra nell’era della Paleo-televisione: il politico entra nel piccolo schermo, conservando però il suo linguaggio, la sua specificità. In Tv si parla di programmi elettorali, di soglie di sbarramento e non esiste ancora un “modo d’esistenza televisiva” dell’uomo politico.
Che arriverà, comunque, dopo il 1975, con l’era della neo televisione. È l’epoca del pentapartito, i partiti di massa sono appena entrati in crisi e gli assetti di potere sono bloccati: la politica, ora, non sente il bisogno di conquistare il consenso attraverso lo schermo. Nel frattempo anche la televisione sta cambiando; fioriscono le Tv commerciali -senza una legge che ne regoli l’esistenza – e cambia il linguaggio e l’espressione televisiva: dalla pedagogia della tv di servizio si va sempre più verso l’intrattenimento. Gli spot elettorali non hanno più nessun richiamo all’appartenenza ideologica, ma giocano tutto sull’umana identificazione, sull’emotività: la comunicazione politica pesca a piene mani dal linguaggio del marketing. E dell’uomo politico la neotelevisione vuol conoscere l’umanità, la sfera privata, i vizi e le virtù: è il primo passo verso la personalizzazione della politica.
Che sarà al centro dell’ultima fase della tele-politica. Dal 1990 in poi, con il crollo del Muro di Berlino, la fine della prima Repubblica, delle ideologie e dei partiti di massa, cambia radicalmente il modo di fare politica. Dire uomo pubblico vale a dire uomo di spettacolo: alla Tv non basta più essere un mezzo di comunicazione; la televisione diventa un attore della politica, che indirizza il consenso, crea l’opinione pubblica. È l’era dei talk show e dei programmi d’approfondimento, di Samarcanda e della discesa in campo a reti unificate, degli uomini di spettacolo che alle elezioni fanno da testimonial.
Un’epoca che, probabilmente, non si è ancora conclusa: quella in cui è quasi impossibile distinguere la politica dal suo doppio
Antonio Storto – master in giornalismo di Torino
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